Effettivamente è molto particolare come fiction, ma proprio per questa stranezza è molto interessante. Cerchi di trattare un tema davvero molto importante che tocca tutti noi. Ovvero chi siamo davvero. Un tema che ha spinto filosofi, pensatori, scrittori romanzi e artisti a compiere milioni, migliardi di opere, di quadri, di statue, di libri, di teorie. E un argomento davvero complesso e affascinante. Chi siamo noi? Cosa ci caratterizza? abbiamo qualcosa di particolare che ci distingue da tutti gli altri? Oppure continuiamo a cambiare e il nostro io di oggi non è quello di ieri, e non è quello di 2 secondi fa? e se davvero continuiamo a cambiare abbiamo qualcosa che può essere definità un identità fissa o siamo solo la scorrere continuop di un cambiamento?
Scusa se mi dilungo in inutili disquizioni filosofiche, ma quello che ti volevo far capire è che questa fic è interessante proprio xkè ci spinge a riflettere.
Coooomunque, l idea è molto carina e originale, come è carino ed originale il modo in cui la hai trattata. Mi è piaciuto il pezzo in cui descrivi come finalmente si sente quando inzia a scrivere. Mi piace un sacco anche l immagine di scrivere sulle pareti e quando paragoni ogni persona ad un piccolo cosmo. Molto azzeccata e poetica a mio parere
La tua storia mi ha ricordato un altro breve e semplice racconto di un libro che amo moltissimo "la filosofia in quarantadue favole" di Bencivenga (te la metto sotto spoiler)
C’ero una volta io, ma non andava bene. Mi capitava di incontrare gente per strada e di scambiarci due parole, e per un po’ la conversazione era simpatica e calorosa, ma arrivava sempre il momento in cui mi si chiedeva “Chi sei?” e io rispondevo “Sono io”, e non andava bene. Era vero, perché io sono io, è la cosa che sono di più, e se devo dire chi sono non riesco a pensare a niente di meglio. Eppure non andava bene lo stesso: l’altro faceva uno sguardo imbarazzato e si allontanava il più presto possibile. Oppure chiamavo qualcuno al telefono e gli dicevo “Sono io”, ed era vero, e non c’era un modo migliore, più completo, più giusto di dirgli chi ero, ma l’altro imprecava o si metteva a ridere e poi riagganciava.
Così mi sono dovuto adattare. Prima di tutto mi sono dato un nome, e se adesso mi si chiede chi sono rispondo: “Giovanni Spadoni”. Non è un granché, come risposta: se mi si chiedesse chi è Giovanni Spadoni probabilmente direi che sono io. Ma, chissà perché, dire che sono Giovanni Spadoni funziona meglio. Funziona tanto bene che nessuno mai mi chiede chi è Giovanni Spadoni: si comportano tutti come se lo sapessero.
Invece di chiedermi chi è Giovanni Spadoni gli altri mi chiedono dove e quando sono nato, dove abito, chi erano mio padre e mia madre. Io gli rispondo e loro sono contenti. E forse sono contenti perché credono che io sia quello che è nato nel posto tale e abita nel posto talaltro, e che è figlio di Tizio e di Caia e padre di questo e di quello. Il che non è vero, ovviamente: non c’è niente di speciale nel posto tale o talaltro, o in Tizio o in Caia. Se fossi nato altrove, in un’altra famiglia, sarei ancora lo stesso, sarei sempre io: è questa la cosa che sono di più, la cosa più vera e più giusta che sono. Ma questa cosa non interessa a nessuno: gli interessa dell’altro, e quando lo sanno sono contenti.
Una volta c’ero io, e non andava bene. Adesso c’è Giovanni Spadoni, che è nato a X e vive a Y e così via. E io non sono niente di tutto questo, ma le cose vanno benissimo.
se posso farti una osservazione, inizi abbastanza spesso le frasi con la congiunzione E subito dopo il punto, rende la letture molto meno scorrevole diciamo che è come se spezzassi la frase a metà. Fortunatamente non è un enorme problema no...